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Il Governo Renzi si consegna nelle mani dei grandi banchieri

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In un articolo del Wall Street Journal viene  svelato all’opinione pubblica internazionale a chi il Governo Renzi ha chiesto di risolvere i problemi degli istituti di credito del Belpaese. La scoperta ha dell’incredibile.

Incredibile davvero ma dal “fiorentino” tutto appare possibile. Dopo aver coordinato tentativi ripetuti e sinora infruttuosi tesi a soccorrere le banche più in difficoltà del paese, il governo italiano si è gradualmente orientato verso un improbabile salvatore: il presidente e amministratore delegato di J.P. Morgan Chase & Co., James Dimon. Il finanziere, riferisce il “Wall Street Journal”, è un “italofilo”: la sua banca ha istituito da tempo una presenza consolidata nel paese ed ha stretto solidi legami con le sue istituzioni.

Al contrario di molte banche europee, può vantare un bilancio in grado di sostenere importanti operazioni di riordino. Resuscitare le banche italiane più sofferenti “è un compito sconfortante e denso di rischi, una delle sfide fondamentali poste dalla finanza europea”: gli istituti di credito del Belpaese, com’è noto, sono gravati da una quantità eccessiva di sofferenze bancarie, e i regolamenti post-crisi impediscono allo Stato di intervenire con decisione per risolvere il problema.

In questo contesto, J.P. Morgan è gradualmente emersa come la migliore speranza dell’Italia (sic!), forse l’ultima: lo scorso luglio ha fatto da parte i competitori ed ha capitanato un ambizioso piano di salvataggio di Monte dei Paschi di Siena (Mps), dopo essersi appellato al consiglio di amministrazione dell’istituto di credito senese, ed dopo aver intrattenuto colloqui di alto livello con funzionari del governo italiano. La  J.P. Morgan figura anche tra i soggetti che si sono attivati per sostenere la più grande banca italiana, UniCredit Spa, a sua volta alle prese con un difficile processo di riordino patrimoniale. Recentemente, il gruppo di Dimon ha anche aiutato Banca Popolare di Bari SpA a liberarsi di mezzo miliardo di crediti deteriorati.

Il ruolo della grande banca d’investimenti statunitense, sottolinea il “Wall Street Journal”, non è passato inosservato: “Credo che J.P. Morgan stia esercitando una influenza eccessiva negli affari bancari italiani”, ha recentemente affermato Pietro Laffranco, esponente del partito Forza Italia e membro della commissione Affari finanziari della Camera dei deputati. Questa estate Dimon ha visitato l’Italia per celebrare i cento anni di attività della sua banca nel paese; l’ad non ha perso l’occasione per ribadire il suo amore per l’Italia: “Mi piacerebbe potervi trascorrere più tempo”, ha dichiarato.

Il dossier Mps, però, si preannuncia un rebus non indifferente anche per un colosso come J.P. Morgan: non è chiaro come la banca statunitense e gli altri soggetti che riuscirà a coinvolgere riusciranno ad assorbire un aumento di capitale da 5 miliardi di euro e 28 miliardi di crediti deteriorati. Il problema è anzitutto la fiducia: sinora nessuna banca si è impegnata a sottoscrivere l’aumento di capitale di Mps. Potenzialmente più allettante è il piano, per ora soltanto abbozzato, per la creazione di un veicolo separato preposto allo smaltimento delle sofferenze, finanziato da prestiti di diverse banche. Questa entità, scrive il “Wall Street Journal”, potrebbe fruttare alle banche coinvolte diverse centinaia di milioni di dollari sotto forma di commissioni e interessi.

Tra gli investitori, comunque, domina perlopiù lo scetticismo: gli otto miliardi di euro che Mps ha raccolto dagli investitori negli ultimi anni si sono volatilizzati, ed ora la banca italiana ha una quotazione di mercato di appena 550 milioni di euro. Se il piano di salvataggio dovesse fallire, e i partecipanti trovarsi con un pugno di mosche, il panico potrebbe propagarsi con effetti devastanti all’intero settore bancario italiano. Se invece J.P. Morgan avrà successo, scolpirà nella pietra il suo ruolo di interlocutore privilegiato del governo italiano per il settore bancario, e spalancherà le porte al rilancio di una serie di altre banche locali che necessitano di ristrutturazioni o fusioni.

Fonte: Katehon

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